31 gennaio, 2013

Festa del'Orso a Mompantero, val di Susa





Secondo alcuni antropologi le origini di questa festa, dai Pirenei ai Balcani, risalgono al mito dell’uomo selvaggio. Fatto sta che l’orso in questione non è né selvaggio né violento, anzi, è un signore (anche se un po’ brillo).
Così nella piccola località della Val di Susa, in uno scenario naturale suggestivo, alle pendici del monte Rocciamelone, con le caratteristiche borgate sparse tra il monte e la riva sinistra del torrente Cenischia, da secoli si ripete la stessa tradizione, ogni anno l’uomo-orso si traveste con pelli di capra - che gli coprono gli occhi fino a renderlo cieco - e si dà alla macchia. e quando viene catturato, vien trascinato per le vie del paese. Durante il percorso viene deriso e malmenato,  ma gli viene anche offerto vino da bere.  ovvero un fiasco di vino da due litri, che il nostro Yoghi deve tracannare con l’ausilio di un imbuto. Ma col vino buono è tutta salute, e  una volta domato, viene lasciato libero di scegliere la ragazza più bella con cui balla fino alla fine della festa.





Rito legato alla tradizione religiosa della Candelora, pare però abbia origini pagane. Qualunque ne sia l'origine, la festa ha da sempre lo stesso svolgimento: la prima domenica di febbraio si da inizio a questa festa antichissima, tra messe, balli e percorsi enogastronomici

E' bene augurarsi che il tempo non sia troppo clemente: un vecchio proverbio della zona infatti dice: "se l'ouers fai secha soun ni, per caranto giouern a sort papì",cioè, se il giorno della festa fa bello, tanto che la tana dell'orso si asciughi, la stagione fredda durerà ancora 40 giorni



Fonti: http://sagre.zero.eu/2013/02/festa-dell%E2%80%99orso-3/
           http://www.mondodelgusto.it/2011/01/22/festa-dell-orso-2011-urbiano-mompantero-torino/

27 gennaio, 2013

LA LUNA DI GENNAIO




La luna di gennaio è chiamata anche luna del lupo, vecchia luna, luna del grande inverno, luna dei ghiacci.

La Luna del lupo è il nome con cui suol riferirsi alla prima luna piena dell'anno solare, mentre è la terza lunazione dell'anno lunare, cioè quello comunemente utilizzato da diverse tradizioni neopagane, che ha inizio al primo di novembre ed è chiamato Samhain o Samonios. Nella pratica attuale si tratta della prima luna di gennaio. Essa è anche nota come Luna calma, Luna della neve, Luna fredda, Luna casta, Luna brillante o Luna del piccolo inverno.
 Il  Novilunio della Luna del Lupo compare generalmente all'interno del mese di Dicembre, solo una volta ogni 19 anni comincia a Gennaio.

Indica un periodo da dedicare alla protezione.
Il nome di Luna del Lupo ricorda come, nei freddi e nevosi inverni, i branchi di lupi si avvicinassero maggiormente ai villaggi, in cerca di cibo, e facessero risuonare il loro ululato nelle notti di Luna piena.
Il freddo e la neve caratteristici di questo mese inducono ad accostare cromaticamente questa Luna al bianco brillante.
E' dedicata alla famiglia ed al gruppo.
Ci invita a coltivare gli affetti e ricorda l’importanza del lavoro di gruppo.
 un altro animale simile al lupo, la volpe, è spesso identificato con questa Luna del lupo. Altre associazioni ricorrenti di questo Esbat sono frequenti con alberi come l'ontano o la betulla, con profumi come muschio e mimosa e con pietre come onice e giaietto.

E' dedicata alla famiglia ed al gruppo.
È una luna di inizi, quindi l'energia ed il potere scorrono pigramente, sotto la superficie. Si ritiene sempre opportuno in questo periodo conservare l'energia,
invitandoci  a coltivare gli affetti e ricordandoci l’importanza del lavoro di gruppo, ad avere
 scopi comuni ed aiutare chi all'interno del proprio cerchio (familiare o di amicizie) si trovi in difficoltà.
Come abbiamo già detto il nome di questa Luna deriva da due motivi: uno è quello che presentandosi nel periodo più freddo dell’anno in cui il cibo scarseggia, questo induceva i predatori e quindi i lupi ad avvicinarsi alle case e ai villaggi, gli uomini udivano il loro ululare molto più vicino.
Il secondo motivo ha a che fare con lo spirito di solidarietà tipico di questi animali che vivono in branchi e restano con una famiglia per tutta la vita, non solo dipendono dal branco per affetto, la conoscenza e il sostegno morale, ma anche per sopravvivere.
Quando la Luna del Lupo si leva in cielo, fate vostra la lezione del predatore e trascorrete un po’ di tempo con i componenti della vostra famiglia naturale e spirituale.
La natura in questo mese affronta il momento più freddo e più duro del ciclo annuale del seme: la fase del sonno.
Con Yule il Sole ha segnato il punto di svolta del suo ritorno, ma il tempo con la piena espressione della sua forza e del suo calore è ancora lontano.
La terra di Gennaio è spoglia, gli animali sono per lo più in letargo e la vegetazione appare avvolta in un sonno profondo, rivestita per buona parte del tempo da una patina di ghiaccio che dà l'idea di una grande immobilità.
In natura come nell’uomo questo è un tempo dove le energie non sono realmente addormentate, ma semplicemente rivolte all’interno, in una concentrazione che è il preludio di nuovi risultati che si manifesteranno in seguito, con il risveglio della Primavera.
Occorre una grande forza per superare la durezza di questo momento, che per analogia coincide con il segno dello zodiaco del Capricorno, terzo segno di Terra, si confronta con uno dei più elevati traguardi nella vita di un uomo: il conseguimento dell’autonomia e dell’autosufficienza, sul piano materiale, psicologico, ed affettivo.
E così l’individuo di questo segno, proprio come la natura invernale, talvolta appare congelato nelle emozioni, controllato nei suoi istinti, poco espansivo e quasi corazzato, mentre questa apparente freddezza è per lo più una difesa messa in atto per tutelare una parte sensibile molto più fragile di quanto possa sembrare.
Al di sotto delle apparenze in realtà l’attività interiore del Capricorno è intensa, e lo porterà a conseguire i suoi elevati traguardi, di cui il più ambìto è proprio l'elevazione spirituale, nel fare questo egli esercita la qualità invernale per eccellenza: la pazienza, il saper attendere il giusto tempo per ogni cosa, pianificandola passo dopo passo, con profondo senso di responsabilità ed anche una non comune capacità strategica.
Il 20 del mese il Sole passa nel segno dell'Aquario e con questo ci ricorda che è giunto il tempo di volgere l'attenzione all'esterno e di muovere le energie, preparandoci psicologicamente ad accogliere la rinascita della Primavera.


 

14 gennaio, 2013

IMBOLC




Imbolc (pronunciata im.olk, in irlandese, letteralmente ‘in the belly’ of the Mother, nel ventre della Madre Terra, e chiamata anche Oimelc o Brigantia) o AMBIVOLCIOS (in gallico antico, che significa “attorno al levatoio” in antico celtico) è la prima delle tre feste celtiche dedicate alla primavera, essendo le altre Alban Eiler (21 Marzo) e Beltain (1° Maggio), e si festeggia il primo ed il secondo giorno di Febbraio.
 Generalmente, la festa cominciava il 31 gennaio, poichè per i Celti i giorni cominciavano dalla notte (vedi anche Samhain o Halloween - 31 ottobre) ed aveva il suo culmine probabilmente il 2 Febbraio, quando il giorno diviene visibilmente più lungo e la luce comincia a vincere la battaglia contro le tenebre.

 L’ Imbolc infatti, si colloca a metà tra la notte più lunga dell’Anno del Solstizio d’Inverno (21 dicembre), e l’Equinozio di primavera (21 Marzo), quando la notte è lunga come il giorno. L’inverno celebra ancora il suo trionfo, i corsi d’acqua, i laghi e le fontane sono ghiacciati , i prati e gli alberi sono ricoperti di brina, la natura scintilla sotto un manto di freddo che pare congelare la vita.
E’ la prima delle tre celebrazioni della primavera, poichè che essa ha luogo al momento della prima comparsa dei bucaneve, e delle prime avvisaglie del disgelo e della scomparsa delle scorie dell’inverno. Il sole bambino nato dalle profondità dell’inverno solleva il suo volto e la terra è toccata dai primi raggi di calore.

 Il nome gaelico sembra riferirsi al “latte di pecora” che scorre quando nascono gli agnelli, proprio in questo periodo dell’anno. Questa festa era dedicata alla dea Brighid figlia del Dio Buono il Dagda (Brigantia figlia di Dagodevos), la Dea dei poeti, dei guaritori, delle levatrici, e alle forze femminili presenti in natura e cadeva nel mese Ogham del Salice, albero femminile per eccellenza. Essendo la dea Brighid, Brigit, Bride, Brigida (in Irlanda e parti della Scozia) signora della poesia, era anche la festività dei bardi e delle competizioni poetiche. La festa di Imbolc venne trasformata dal Cristianesimo nella Vigilia della Candelora (il momento della presentazione del Cristo al Tempio), consacrata alla Vergine Maria e a Santa Brigida. In Galles la festa viene chiamata Gwyl Fair (Festa di Maria), oppure nell’alternativa più recente Gwyl Forwyn, “festa della vergine”, anche se alcuni druidi, perfino i pagani, utilizzano il termine Candelora.. Anche se Imbolc era una festa della primavera, le condizioni atmosferiche, specialmente nelle terre di Keltia, non erano ancora tra le più favorevoli per festeggiare all’aperto, perciò la sacralità di Oimelc veniva vissuta particolarmente in famiglia, coi ragazzi e le ragazze che intonavano canzoni e preghiere alla dea Brighid. Era anche la festa delle nascite, non solo degli agnelli, ma anche tra gli umani, in quanto nove mesi prima, tra gli eccitanti fuochi di Beltain, le coppie usavano salutare l’arrivo dell’estate.

E' la festa della Fanciulla, come aspetto della Dea, perchè da questo giorno fino al 21 Marzo, inizia la stagione per prepararsi alla crescita e al nuovo che giunge. Il serpente di Brighid emerge dal ventre della Terra per testare la temperatura dell'ambiente e in molti luoghi il primo Croco e la Margherita nascono nella terra ghiacciata.
La Fanciulla viene onorata come la Sposa durante questo Sabbat. Nelle antiche tradizioni pagane venivano fatte delle piccole bamboline di grano o di spighe e messe in dei cestini con un fondo di fiori (come vi farò fare nel rituale). Le giovani donne portavano queste ceste di porta in porta e venivano posti all'interno dei doni. Dopo la festa tradizionale, le donne più anziane facevano delle speciali bacchette per le bamboline da tenere tra le mani e poi venivano arse. Alla mattina venivano controllate le ceneri per verificare se le piccole bacchette avevano lasciato dei segni comeda considerare degli omen.

Questa è anche la festività dell’anno celtico adatta alla visualizzazione dei nostri progetti, dei nostri sogni ancora astratti ed avvolti nella speranza. Le candele vanno infuse di amore, sogni, preghiere.
Per i Celti l’Albero protettore del giorno dedicato a Imbolc era la Betulla, che era sacra alla dea Brigit, patrona anche delle nascite (dei bimbi concepiti a Beltane), essa era quindi, come affermato più volte, la messaggera della nuova vita che si affaccia al mondo, come la betulla, che é considerata un albero colonizzatore del bosco, si diffonde spontaneamente, resiste al freddo e occupa i terreni inviando i propri semi ovunque.

Un altro simbolo tradizionale di Imbolc è l'aratro. In alcune zone, questo è il primo giorno di aratura per preparare il terreno al raccolto. Un aratro decorato viene portato di porta in porta, con a bordo dei bambini in costume che chiedono cibo, bibite o soldi. Se il vicino rifiuta di dar qualcosa, gli viene arato il giardino coltivato con i fiori. In altri luoghi, l'aratro è decorato e viene cosparso di whiskey (l'acqua della vita.) Pezzi di formaggio e pane sono lasciati accanto all'aratro e vengono quindi offerti agli spiriti della natura

Per i druidi di ieri e di oggi è la sacra festa in onore della donna, ed il rito praticato ancora oggi dai gruppi druidici è particolarmente gentile, bello, garbato ed intessuto di poesia. Un rituale adatto ad Imbolc consiste nel prendere una candela bianca e piantarla in un calderone pieno di terra, oppure immergerla in uno pieno d’acqua (che simboleggiano il corpo della dea o le acque dell’utero femminile). Oppure si può onorare la Dea Madre con otto candele che emergono dall’acqua al centro del cerchio della cerimonia.
Una volta accesa la candela si medita e si ringraziano le nostre madri e le madri delle nostre madri.



Brighid (chiamata anche Brigid, Brigit, Bridget ecc.) è la dea celtica del fuoco, dell'ispirazione, della creatività, fertilità e della guarigione. Era molto importante per i popoli irlandesi, talmente importante che quando la chiesa cattolica divenne il culto dominante in quella zona, non potette essere demonizzata e fu canonizzata come Santa Brigida, la matrona delle arti e della guarigione. Anticamente le sacerdotesse di Brigit tenevano i fuochi accesi a Imbolc e questa tradizione è stata mantenute dalle suore per molti secoli in onore della nuova santa.
L'aspetto dolce e fanciullesco di Brigid la rendono la perfetta come dea del focolare. Le case di tanti infatti le sono dedicate ed esistono molte benedizioni in suo onore che hanno come tema il focolare. Le ceneri e i tizzoni venivano spesso depositati sulle campagne in suo onore, invocando la sua fertilità e benedizione. Inoltre nelle case, quando c'era una festa veniva tenuto un posto a tavola per la Dea.
Imbolc come rinnovamento della luce, ci ricorda l'importanza del nostro personale rinnovamento. Utilizziamolo da tradizione, per rinnovare le idee e i progetti dei prossimi mesi. Dovrebbe essere il momento della revisione di Yule, la ricerca della nuova ispirazione e illuminazione, la celebrazione delle idee appena nate. E' un momento di autoconsacrazione, per questo molti pagani scelgono questo sabbat come iniziazione o riconferma delle proprie idee. E' anche il momento giusto per la purificazione personale e della casa.
Questo Sabbat inoltre onora la luna come fonte di fertilità per i mesi a venire. L'inverno ancora freddo si risveglia e inizia a sentire l'eccitazione della vita. E' il tempo per i cambiamenti fatti sotto la superficie, quelli nascosti. E' il tempo dell'anno per prendere un impegno o per disfarlo. E' tempo di guardare avanti con speranza e gioia per quello che sta per arrivare.

Corrispondenze :
Simboli
Bamboline di grano, Scope, Candele, Fiori bianchi
Divinità
Tutte le divinità fanciulle e vergini, Brighid, Aradia, Athena, Inanna, Gaia e Februa, tutti gli Dei dell'amore e della Fertilità, Aengus Og, Eros e Februus.
Cibi tradizionali
Semi di zucca, semi di girasole, pane, tutti i latticini, peperoni, cipolle, aglio, uva passa, curry, i vini speziati e i thè di erbe.
Colori
Bianco, Rosa, Giallo, Marrone chiaro e verde pastello
Erbe
Angelica, Basilico, Alloro, Calendula, Iris, Mirra, Violette e tutti i fiori bianchi e gialli
Incensi
Basilico, Alloro, Cannella, Vaniglia, Mirra
Pietre
Ametista, Rubino, Onici e Turchesi
Animali
Rondini, Pecore, Agnelli, Cervi
Oli
Gelsomino, Garofano, Neroli, Oliva
Attività
Accensione di candele, raccogliere cristalli.


fonte http://guide.supereva.it/druidismo/interventi/2005/01/192670.shtml

BETULLA

Betulla: nome

Betula Pendula – Betulaceae




Betulla: proprietà

Le foglie di betulla sono utilizzate in fitoterapia per le proprietà diuretiche e depurative, conferite dai flavonoidi, ossidi sesquitepenici, tannini (leucoantocianidine), Vitamina C, acido betulinico, clorogenico e caffeico, resine e olii essenziali.
L’azione depurativa è coadiuvata da quella diuretica. L’incremento di emissione di urina facilita l’eliminazione dell'acqua e delle sostanze in eccesso, accumulate nell’organismo, come il colesterolo e gli acidi urici che provocano reumatismi e gotta. Per questo motivo la betulla è impiegata nella cura dell’ipertensione e della ritenzione idrica. L'effetto diuretico agisce anche in maniera preventiva rispetto alla formazione di renella e diventa una sorta di "lavaggio” antisettico nelle affezioni delle vie urinarie, come la cistite.
La pianta inoltre è uno dei rimedi elettivi nella cura della cellulite, in quanto aiuta l’eliminazione e la scomparsa dei noduli fibroconnettivali, caratteristici di questo inestetismo cutaneo.
La linfa di betulla, conosciuta anche come Betula verrucosa linfa, da cui si estrae il gemmoderivato, contiene due eterosidi capaci di liberare per via enzimatica salicilato di metile ad attività analgesica e antiinfiammatoria.
La linfa viene raccolta seguendo una tecnica particolare: all'inizio del mese di marzo, durante la montata primaverile, si praticano nelle betulle adulte, di preferenza sulla parte del tronco esposta a sud, alcuni fori a circa un metro da terra, profondi da due a cinque centimetri, leggermente obliqui verso l'alto, nei quali si introduce un tubicino da cui la linfa defluisce nei recipienti posti a terra. Un tronco di 50 cm di diametro fornisce in 4 giorni una media di 3-4 litri di linfa.
La proprietà detossinante è rivolta al nostro sistema linfatico che utilizza la potente azione drenante della linfa dell’albero (che raggiunge i 30 m. di altezza) per depurare l’organismo da tossine in eccesso, che trattengono i liquidi: cure farmacologiche, terapie cortisoniche o ormonali, iperuricemia e ipercolesterolemia.
Il migliore impiego terapeutico della linfa di betulla è quello riguardante il trattamento della cellulite, perché riduce nettamente l'impastamento e la componente dolorosa, ed elimina i liquidi ristagnanti nei tessuti.

Betulla: descrizione

Pianta arborea che può raggiungere imponenti altezze, presenta una chioma rada e leggera, espansa in verticale, con i rami terminali ricadenti. Il tronco è snello, se non è troppo vecchio, presenta una scorza bianca e sottile. 
Le foglie decidue, ovato triangolari, picciolate, verde chiaro sopra e sotto. 
I fiori maschili sono riuniti in amenti sessili, penduli; quelli femminili sono raccolti in spighe corte ed erette. I frutti sono delle infruttescenze cilindriche che a maturità liberano delle piccole samare provviste di un'ala membranosa.

Betulla: habitat

Originaria dell'Europa e dell'Asia settentrionale, in Italia è più frequente sulle Alpi dove a volte forma boschi puri. La Betula pendula (o Betula alba var. verrucosa) è diffusa dai Balcani all'arco alpino e in tutta l'Europa atlantica e l'Asia. In Italia è presente particolarmente in Piemonte (ove oggi si stimano oltre 20.000 ha di questa specie) e in Lombardia; si ritrova nell'Appennino settentrionale, in alcune stazioni isolate in Abruzzo, nell'Appennino campano e sull'Etna.

Betulla: cenni storici

Strettamente legata alla vita umana, come simbolo tutelare, tra i popoli slavi l’albero era associato alla leggenda delle Rusolski, le bellissime ninfe degli stagni e dei laghi. A tarda primavera, nei giorni del disgelo, uscivano dalle acque e si portavano, vestite di lunghi abiti candidi, a insidiare i viandanti che si trovavano a passare tra i boschi di tronchi biancastri. Chi non fosse stato in grado di resistere a loro, veniva catturato e ucciso. Per scongiurare questo pericolo, quelle popolazioni erano solite tagliare annualmente una enorme betulla, per poi metterla eretta nella piazza del paese e danzarvi attorno lungamente in modo propiziatorio. Di quella stessa pianta si faceva poi, a sera inoltrata, un grande falò e se ne disperdevano le ceneri nei campi.
La betulla è anche l'albero sacro per eccellenza delle popolazioni siberiane presso le quali riveste tutte le funzioni dell'Axis Mundi, pilastro cosmico.

Plinio pensava che la betulla fosse originaria della Gallia e ci informa che con il suo legno si fanno “ai magistrati i fasci che tutti temono, e ai panierai i cerchi e le coste necessari per la fabbricazione di panieri e cestini". Aggiunge che si usava anche per confezionare torce nuziali, ritenute porta-fortuna il giorno delle nozze (Historia Naturalis).
Già nel Medioevo l'acqua di betulla era molto nota per la sua proprietà di disgregare i calcoli urinari, e per questo fu proclamata "La pianta renale d’Europa". Anche la sua linfa era ritenuta un rimedio efficacissimo contro i calcoli renali e della vescica.

Betulla: ricetta

Come per tutte le piante bisogna fare attenzione alla contemporanea assunzione di farmaci che abbiano lo stesso effetto, per il rischio di potenziare l’effetto del farmaco, in questo caso non assumere con altri diuretici di sintesi.
USO INTERNO
INFUSO: 1 cucchiaio foglie di betulla, 1 tazza d’acqua
Versare la betulla nell’acqua bollente e spegnere il fuoco. Coprire e lasciare in infusione per 10 min. Filtrare l’infuso e berne 2 tazze al giorno lontano dai pasti.
40-50 gc di betulla verrucosa linfa in gemmoderivato 2 volte al giorno lontano dai pasti.
Tintura madre di betulla: 80 gc in 1L e 1/2 d’acqua minerale, da bere nell’arco della giornata, lontano dai pasti.

Fonte: http://www.cure-naturali.it/betulla/2325

09 gennaio, 2013

Quando le Masche ballavano al Pian della Mussa

Storie di masche di Balme, ma anche di fate, di spettri e di spiriti folletti. Antiche tradizioni delle valli piemontesi




Sono molti i viaggiatori, anche illustri, che, giunti a Balme (Valli di Lanzo) per la prima volta, furono affascinati dalla cupa e selvaggia bellezza dei luoghi. Una bellezza che, durante il giorno, può apparire severa e grandiosa ma che diviene sinistra e spettrale al crepuscolo, quando la luna si alza ad illuminare le grandi pareti rocciose che incombono sul villaggio, ormai lambito dalle ombre che salgono dalla Gòrdji, la cascata dove precipitano le acque gelide della Stura.
Non è più la montagna solare, idilliaca ed oleografica delle cartoline, ma un mondo misterioso e inquietante, che ne prende il posto ogni sera, dove la soglia tra la realtà e il soprannaturale non appare più così precisa e netta. Un mondo dove sembrano diventare possibili incontri che altrove non avvengono, se non nei sogni e negli incubi.
Un mondo popolato di masche (streghe) e di altre presenze più o meno ostili, con cui la gente, tuttavia, ha imparato a convivere. Occorre dire che le masche di Balme, più che preparare filtri o pozioni, come sembra che facciano da altre parti, si limitano a cose più normali. Fanno cadere il bestiame nei precipizi, fanno inacidire il latte, impediscono alle galline di fare le uova. Se prendono di mira un montanaro, le sue tome si fenderanno appena messe a stagionare, la lana delle sue pecore, lavata e messa ad asciugare sui tetti della baita, si tramuterà in una massa di vermi. Per fortuna, i Balmesi sanno come difendersi: basta percuotere a bastonate la catena del camino: le botte si scaricheranno tutte sulla masca di turno, colpevole delle malefatte. C'è anche una possibilità preventiva di difesa: è sufficiente mettere una pietra bianca sul colmo del tetto: essa terrà lontane le masche. Non manca chi ride di questa superstizione ed avanza le ragioni della scienza: l'péress biéntchess ou servèissount mac par gnint lassà tchèi les slèidess. Forse un buon parafulmine è meglio, dicono i giovani. Ma i più vecchi scuotono il capo e continuano a mettere le pietre bianche, come hanno sempre fatto
Ed ancor oggi, per dire che si è avuta una brutta esperienza, si dice comunemente dj'é viù l'màschess (ho visto le masche).
In passato l'incontro con le masche era abbastanza frequente. Per esempio era risaputo che, dopo una certa ora, era bene non trovarsi lungo la mulattiera tra il villaggio di Cornetti e quello dei Fré. In certe notti, accadeva facilmente di incontrare una vacca con un corno solo e storto, la vatchi tchùca, che fissava il viandante con uno sguardo per nulla bovino ma piuttosto maligno e beffardo. In questo caso, meglio tornare indietro. Era probabilmente una masca, anche se nessuno si è mai avvicinato tanto da accertarsene. Oggi è ormai difficile dire, perché, da quando la strada ha sostituito il sentiero, c'è più traffico e la vacca si fa vedere un po' meno.
Il Pian della Mussa
Le masche potevano anche abitare la porta accanto. Ai tempi di mio bisnonno usava, come in molti altri luoghi, che i giovani andassero a cantare Martina davanti ad una casa dove c'erano delle ragazze da marito. Di solito, dopo un po', c'era l'invito ad entrare per trascorrere insieme la sera suonando, cantando e raccontando vecchie storie (si diceva alà an paské). Ebbene, proprio ai Cornetti, davanti ad una certa fontana, nei pressi della Cappella di S. Anna, abitavano tre sorelle, alte e belle. Almeno così diceva il bisnonno ma le tre sorelle erano soprannominate l'sàttchess, che significa le secche. In ogni modo, una certa sera, mio bisnonno e gli altri suonarono e cantarono a lungo, in attesa che le ragazze, come usava, rispondessero al canto e li facessero entrare. Ma non accadde nulla. Attraverso la finestra si vedevano distintamente (o almeno credevano di vedere) le tre ragazze che non alzavano neppure la testa e continuavano a filare. Alla fine, delusi, i giovani decisero, come si suol dire, di andare a cantare in un altro cortile ma, passando davanti alla fontana, che cosa videro? Le tre sorelle erano lì, in carne ed ossa, intente ad attingere acqua.
Sembra che le tre siano rimaste zitelle...
Di solito, ma non sempre, le masche evitavano gli esseri umani. Soprattutto quando erano intente a celebrare i loro sabba infernali, come spesso accadeva sotto il famoso noce di Pian Soletto, a valle di Ala. Sorge qui una cappella lontana da ogni centro abitato, in mezzo ad un fitto bosco. Ancor oggi c'è chi si ricorda di un fatto inquietante, che non ha trovato spiegazione. Un gruppo di donne di Balme partì a notte fonda per andare a vendere uova al mercato di Ceres. Bisognava arrivare prestissimo per essere le prime ad offrire la merce. Le donne attraversarono Ala e giunsero al Pian Soletto quando le tenebre erano ancora fitte. La cappella, cosa stranissima, era illuminata da innumerevoli fiammelle, che ardevano come candele. Stupite, le donne si avvicinarono, credendo che ci fosse una funzione. Guardando dai vetri, la cappella appariva gremita di persone incappucciate, di cui non si vedeva il viso, perché rivolte verso l'altare, dove un prete sembrava celebrare, senza mai girarsi verso i fedeli. Le nostre donne, incuriosite, cercarono di entrare ma la porta non si apriva. Non solo, ma le figure incappucciate, sempre senza girarsi, facevano segno che se ne andassero, bisbigliando alàs vià, alàs vià. Le donne, offese, proseguirono il loro cammino.
Balme sotto la neve
C'era stata qualche ruggine tra la gente di Balme e quella di Ala, ma essere trattate cosi! La sera, quando ripassarono davanti alla cappella, non c'era traccia della funzione notturna ed anche ad Ala nessuno seppe spiegare la cosa. Erano masche, erano anime del Purgatorio? Che cosa avrebbero visto, se quella porta si fosse aperta? Un mistero destinato a rimanere tale. I campeggiatori che, d'estate, piantano le loro tende nel pianoro sottostante la cappella non sanno niente di queste storie, e forse è meglio così...
Per quanto possa sembrare strano, le masche potevano anche essere carine, quando volevano. Al Pian della Mussa, proprio di fronte alla trattoria Bricco, si apre un valloncello che sale dolcemente verso il Roc Nèir, fino ad una radura circondata da rocce, coperta di un'erba spessa e giallastra, rifugio di rane e di serpi. E' la conca di un antico laghetto prosciugato, solitario e remoto anche nei giorni in cui il vicinissimo Piano è gremito di turisti. Uno di quei posti fin troppo deserti e malinconici, anche un po' angoscianti, pur senza nessun motivo per esserlo. Da noi ce ne sono parecchi e si dicono afroùs. Ebbene, proprio in questa radura sembra che più volte si siano viste fanciulle bellissime e sconosciute danzare con gli uomini che abitavano nelle baite sottostanti. Un segreto conservato gelosamente, ma anche un ingenuo motivo di orgoglio tra gli uomini della famiglia Castagneri-Touni. Non sappiamo che cosa ne pensassero le loro mogli e neppure sappiamo se le belle fanciulle fossero masche o fate o forse un po' l'uno e un po' l'altro.
Perché, infatti, c'erano anche le fàiess e c'erano anche i bacàn o i foulàt cioè gli spiriti folletti. Delle prime c'è poco da dire, hanno il loro hàbitat nelle sorgenti e nei piccoli specchi d'acqua, dove si lasciano riflettere dal sole e si lasciano vedere, praticamente soltanto dai bambini, mentre i bacàn e i foulàt, assai più attivi, sono inguaribilmente dispettosi. Nascondono gli oggetti, fanno perdere la strada, spaventano la gente con versi e rumori inattesi ed inquietanti. In particolare sembra che si divertano a buttare la neve in faccia a coloro che, d’inverno, salgono al Pian della Mussa al mattino presto. Molesti ma non pericolosi, i bacàn sono velocissimi (si dice lèst m'un bacàn) ma soprattutto possono sparire molto rapidamente. E' per questo che è difficile vederli, quando saltano da un albero all'altro, e soprattutto non si riesce mai a farli vedere agli altri o fotografarli.
Antico costume tradizionale di Balme in una foto d’epoca
Ancora più innocuo è l'om servàdjou, l'uomo selvatico, malgrado le nonne lo usino come spauracchio per i bambini. Misantropo, peloso, vestito di pelli, ha due abitazioni, una presso la Pereùva, curiosa roccia coperta di iscrizioni preistoriche a monte di Mondrone, dove sembra che passi l'inverno. In estate si trasferisce nella sua bòrna (caverna), al Pian Saulera, sopra il Pian della Mussa, dove raccoglie le bacche e sembra anche che produca ottime tome.
Da non confondere (come altri fanno) con le masche sono invece le plìffress. Si tratta (o meglio si trattava, perché, fortunatamente, la specie è estinta da tempo) di anziane donne del paese, che erano considerate un po' in odore di mascheria e, qualche volta, accusate di gettare il malocchio. Sembra comunque che fossero temute più per la loro lingua che per i loro sortilegi. Cose che, a quanto pare, succedono anche da altre parti.
Ma il panorama non sarebbe completo se trascurassimo i mascoùn, cioè le masche-uomini. Assai più rari della specie femmina, i mascoùn sono persone che hanno studiato e posseggono libri (di solito in latino) contenenti formule per fare la fisica. Niente a che vedere con la scienza propriamente detta. La fisica è una pratica che permette di far vedere le cose che non ci sono e vice-versa. Il gioco funziona soltanto con le persone un po' sempliciotte e per un po' di tempo, ma funziona.
Se t'capèiss cou vòlount fàte la fisica, t'a da alà-toun vià o bàtri fòrt l'màns ansèmbiou: le cose ritorneranno subito a posto. La fisica è tanto più forte quanto più il mascùn è smaliziato. Di solito i mascoùn più pericolosi si incontrano nelle osterie di fondovalle, specialmente quando si è bevuto un bicchiere di troppo. Le fiere, soprattutto, brulicano di mascoùn ed accade qualche volta che un montanaro, tornato al paese, si accorga, ormai tardi, che la vacca che ha comprato non è così bella come gli era sembrata all'acquisto.
Da quando c'è la televisione, della fisica si parla molto meno, anche se in paese si sussurra tuttora che in certe ville ormai secolari possa ancora succedere che un tavolino a tre gambe si mette a ballare o un pianoforte suoni da solo. Ma queste sono cose da villeggianti.
Veduta di Balme
Tra i mascoùn più famosi, di cui è ancora vivo il ricordo, c'è addirittura un prete, vissuto a Balme molto tempo fa, che faceva anche il maestro di scuola. I vecchi ne parlano ancora con viva impressione. Dotto e caritatevole, intraprendente e generoso, lasciò un ottimo ricordo di sè. Ma aveva -purtroppo- un difetto: gli piacevano troppo le donne. Questa sua debolezza la portava, non di rado a trovarsi in situazioni incresciose, dalle quali si traeva d'impaccio in due modi. Il primo, più empirico, consisteva nella precauzione di usare scarponi con il tacco piantato in punta, in modo da lasciare, sulla neve, le impronte al contrario e depistare così i mariti gelosi che lo braccavano. Il secondo, più raffinato, era di ricorrere alla fisica e di tramutarsi in una tchàva (gracchia). La cosa può oggi apparire inverosimile, ma c'è una testimonianza sicura. Accadde infatti che, una certa notte, un rivale, subodorando trucco, imbracciò il fucile ed impallinò la tchàva. Colpita in un'ala, questa riuscì tuttavia a mettersi in salvo. Il giorno successivo, la gente tenne d'occhio il prete che apparve facendo finta di niente ma con un braccio visibilmente fasciato.
Sono storie vecchie e magari anche un po' fruste. Bisogna scegliere bene il momento perché facciano ancora il loro effetto. Le sere di tardo autunno sono le occasioni migliori.
Forse proprio per questo, per esorcizzare le paure che hanno spaventato i loro nonni, alcuni ragazzi hanno preso l'abitudine, la sera della vigilia dei Santi, di travestirsi da masche o da spettri e di scorrazzare per i vicoli del paese, mentre la gente finge di essere spaventata. Pare che vada molto di moda in America ed anche in Scozia, dove lo chiamano Halloween (avete presente le zucche con la candela dentro?).
I vecchi balmesi non amano le novità ed arricciano il naso. Probabimente hanno ragione loro ma i ragazzi si divertono lo stesso. E, del resto, i manieri scozzesi che cos'hanno in più della casa-forte del Ruciàss? Anche questo è un posto dove, calate le tenebre, è meglio non andare, a meno di non essere molto curiosi. Un posto sinistro, con scale tenebrose e gallerie che sembrano penetrare nelle viscere della terra, con le orbite vuote delle sue finestre smozzicate, con il misterioso ululare di cani (saranno proprio cani?) dietro porte che si direbbero chiuse da secoli.
E poi c'è l'affresco che rappresenta il re Erode e la decollazione del Battista. Anch'esso misterioso ed inquietante, perché i decapitati sono due e sulla seconda testa mozza c'è qualcuno che avrebbe certe cose da raccontare...
Ma questa è un'altra storia.

06 gennaio, 2013





Un giorno senza un sorriso è un giorno perso.
















Charlie Chaplin



Epifania


La Befana ha genitori pagani

Le origini della leggenda della Befana sono pagane. Anticamente i Romani credevano che nei 12 giorni seguenti al solstizio invernale si celebrava la morte e la rinascita di Madre Natura. E sempre secondo i nostri avi dodici figure femminili guidate da Diana, dea lunare della vegetazione, volassero sopra i campi per renderli fertili.

Ovviamente la Chiesa condannò queste credenze come influenze diaboliche e maligne. E attraverso le mescolanze di queste religioni ed il passare dei secoli nel medioevo si arrivò alla Befana, vecchia benevola vicina alla stregoneria.
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Fuoco e dolci

Questo aspetto di vegliarda nasce forse come raffigurazione dell’anno passato. Quasi ovunque la Befana viene rappresentata da un fantoccio di legno vestito per l’occasione.

In molti paesi d’Europa si brucia il fantoccio coperto d’abiti logori all’inizio dell’anno. Alcune volte viene addirittura segato per avere i dolci messi all’interno. Sempre legata a questa festa a Bologna per Capodanno c’è il Falò del Veglione, mentre a Varallo in Piemonte, il 6 gennaio per l’inizio del carnevale, si fa un altro rogo.

Befana versione 2.0

Ci sono anche altre versioni della leggenda della Befana: una sostiene che la Befana fosse una festa romana legata allo scambio dei doni. Un’altra ancora che sia legata alle figure mitologiche germaniche delle dee della natura invernale, le amichevoli Holda e Berchta.

Mentre la versione “cristianizzata” ci racconta come i Re Magi diretti a Betlemme per portare i doni, non trovavano la strada. Chiesero informazioni ad un’anziana signora che però non vollè andare con loro. Pentitasi della scelta, decise di andare a portare dei doni al Gesù Bambino. Ma non riuscendo a trovare i re magi, si fermò ad ogni casa per regalare dei dolci a tutti i bambini. Da allora secondo questa leggenda della Befana girerebbe per il mondo regalando dolciumi per farsi perdonare.

Dolci e acciughe

Oggi invece tradizione vuole che la notte tra il 5 e il 6 gennaio venga una vecchia sulla sua scopa a lasciare dolci e regali ai bambini bravi, mentre carbone, il “moderno” zucchero colorato di nero, per i bimbi cattivi.

Sembra anche che sia meglio lasciargli uno spuntino: si passa da un mandarino, un’acciuga, un pezzo di aringa affumicata o qualche cipollina sotto aceto e un bicchiere di vino rosso. La signora si vuole mantenere bene
 
 
 

Epifania...

....Tutte le feste si porta via.
Diceva così mia nonna, e speriamo che non solo quello si porti via, ma trascini con se un anno da dimenticare, e non solo per quanto mi riguarda, ma per tutti coloro che lo hanno vissuto come un travaglio lungo e doloroso.
Benchè nell'aria aleggi ancora molto pessimismo, grazie a chi ci governa, speriamo che si npossa andare incontro ad un futuro migliore, con meno rinunce (sigh) con più possibilità di lavoro per tutti e tanta serenità nel cuore...speriamo si. e si sa che la speranza è l'ultima a morire